FORCING SCAMPIA - SECONDA PARTE

(di Laura Soriente)



PdC: Don Aniello, perché avete promosso proprio il gioco del calcio sia qui che nella precedente esperienza romana al Trionfale?

DA: Al Trionfale era un calcio solamente amatoriale, con tornei per adolescenti che impegnavano tutto l'anno sabato e domenica compresi, con 10 squadre si facevano bei campionati. Avevo più di 1000 ragazzi che si avvicendavano nel corso della settimana. Era una fucina d’idee che poi ho cercato di importare a Scampia. Il calcio qui in modo particolare perché è molto sentito. Nasce come presidio di Ultimi, la mia associazione attiva a intercettare le criticità e il sentire dei territori e darne voce realizzando progetti (ultimi.eu). Ogni presidio si occupa di svariate problematiche, dai rifiuti, alle case famiglia, all'insegnamento e promozione di attività sportive e ricreative.

PdC: Scampia oggi è arrivata nelle case di tutta Italia grazie soprattutto al riconoscimento della Lega Calcio (nello spot della Tim) e alla serie Gomorra, avvicinando la vostra realtà alla gente. Hanno portato effetti positivi?

DA: Ha portato familiarità, un effetto di normalità, ha fatto vedere il lato più genuino, semplicemente dei ragazzi che giocano a calcio con impegno e passione. Ha contribuito a togliere quell'aura di irreparabile che ha condannato questo quartiere sedimentandosi nella mente dei cittadini: Gomorra=Camorra=Napoli=Scampia. Chi sa per esempio, che Gomorra è il primo capitolo della genesi? Questo campo ci è stato donato come riconoscimento dell'impegno di questa associazione dilettantistica contro la cultura del degrado.

PdC: Lei spesso parla di mobilitazione sociale per combattere lo stato delle cose, di prevenzione per sottrarre terreno fertile alla camorra, dal libro “Gesù è più forte della Camorra” e dalla cronaca traspare una realtà che fa paura. Il calcio è e può essere dunque un'attività normale, costante, ricreativa d’insegnamento che combatte e spezza questa paura e la sottocultura che lei indica tra i fattori più pericolosi?

DA: Certo. Qui abbiamo intercettato una passione e abbiamo investito soldi, energie e tempo. Diceva Don Bosco “amate quello che amano i giovani e li porterete a fare quello che volete voi”; attraverso il calcio si veicolano valori creando l'opportunità di costruire la propria vita con imput diversi, mettendo in primo piano l'impegno e il sacrificio, cioè quei parametri totalmente opposti a ciò che promuove la camorra, molto guadagno e poco sforzo. Si vuole dare forma a un modello per immettere nella società forze pulite, aria fresca, che amino il bello e l'onestà.

PdC: Le sue battaglie sono state fatte anche per trasmettere la presenza di una chiesa meno ancorata alla liturgia e all'evangelizzazione ma più concreta e presente sul territorio. Promuovere l'attività sportiva è una colonna di questa rivoluzione?

DA: Si, è il modo più semplice ed immediato per intercettare i ragazzi. Dove si trovano i ragazzi se non su i campi di calcio e nelle scuole?

PdC: Ha mai giocato a calcio? Se sì in che ruolo?

DA: Sì ho giocato fino a 5/6 anni fa, facevamo le partite amichevoli, io sono un terzino senza grande tecnica ma con grande passione.

PdC: Simpatizza per qualche squadra del nostro campionato? E lo segue?

DA: Sono un tifoso sfegatato del Napoli. Vorrei più italiani nella squadra a partire dai bambini.

PdC: Il suo capitolo sul calcio ne promuove i valori legati soprattutto all'integrazione, all'allenamento (come metodo per acquisire un equilibrio psicofisico e educazione), ad un messaggio etico che si contrappone alla violenza e alla prepotenza. Le sue lezione di "umanizzazione del pallone" a bordo campo sono servite? Che cosa hanno imparato i vostri ragazzi e soprattutto che difficoltà avete incontrato in questa realtà?

DA: Noi siamo partiti nel 1994 con il calcio amatoriale attraverso tornei interparrocchiali con 13 parrocchie iscritte. Non c'era nulla a partire dalle infrastrutture. La solidarietà, il volontariato hanno costruito una rete. Pulivo i cessi, gli spogliatoi, facevo l'arbitro, tratteggiavo le linee del campo. Quella realtà mi ha scaraventato dentro l'anima del quartiere creando un grande legame che ha portato poi lo staff a professionalizzare i tornei, con l'iscrizione alla F.I.G.C.
Grossi problemi disciplinari, come lunghe squalifiche, non li abbiamo mai avuti anche perché gli allenatori fanno dei percorsi di formazione; si instaura un rapporto fuori dal campo con gite fuori dalla regione, “braciate”. È una famiglia.

PdC: I ragazzi che sono approdati in categorie superiori sono rimasti in contatto con voi?

DA: Si, capita molto spesso. L'esperienza al Don Guanella è stata talmente positiva che il legame non si è mai interrotto.

PdC: Ho seguito la vicenda della squadra Don Guanella categoria promozione, giocate ancora a porte chiuse o è riuscito ad abbattere anche questo muro dopo quello che divideva la chiesa dalle vie del quartiere?

DA: No, giochiamo ancora a porte chiuse, è una battaglia, un rimpallo perenne con l'ufficio tecnico del comune che ci presenta preventivi da 50.000 euro per fare un muro divisorio sugli spalti che non sono quelli del San Paolo. Si tratta semplicemente di dividere lo spazio e i bagni, uno per i locali e uno per gli ospiti. Il supporto delle istituzioni è totalmente assente.



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© RIPRODUZIONE RISERVATA  -  19 GENNAIO 2015

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